Sentenza 02
RESPONSABILITA’ SOGGETTIVE PER CARENZA DI INFORMAZIONE
Cassazione penale, sez. IV, (ud. 5 dicembre 2002) 16 settembre 2003, n. 35561, Pres. Coco, Rel. De Grazia
Prevenzione infortuni - Lavoro alle macchine - Operazioni di pulizia con macchina in movimento - Trascinamento del lavoratore nei rulli della macchina - Lesioni personali - Decesso del lavoratore- Responsabilità del datore di lavoro - Valutazione - Sussiste - Responsabilità del dirigente e del preposto - Valutazione - Sussiste
Il datore di lavoro, il dirigente e il preposto sono responsabili, ciascuno nell'ambito delle proprie attribuzioni e competenze, dell'infortunio occorso al lavoratore, quando abbiano tollerato una prassi scorretta di lavoro da loro conosciuta (fattispecie di infortunio mortale occorso al lavoratore addetto alla pulizia dei rulli di una macchina in movimento).
Nota
Il caso oggetto della valutazione da parte della Corte di Cassazione ha riguardato il grave infortunio sul lavoro occorso ad un operaio addetto ad operazioni di pulizia su una macchina a rulli. Causa lo svolgimento delle operazioni con i rulli della macchina in movimento, ad una velocità di circa 90 metri al minuto, e l'accidentale intrappolamento e conseguente trascinamento del lavoratore, questi subiva gravi lesioni personali (frattura della base cranica, con stiramento e deformazione del tronco encefalo) che ne cagionavano la morte.
Tratti a giudizio l'amministratore delegato, il direttore dello stabilimento, il direttore della produzione, il responsabile della sicurezza, il caporeparto e il capoturno in servizio al momento dell'infortunio, all'esito del processo di primo grado subivano condanna solo il direttore dello stabilimento e il responsabile della sicurezza. In grado di appello la Corte territoriale, in parziale riforma della sentenza impugnata pronunciava condannaanche nei confronti dell’amministratore delegato, del capo reparto e del capoturno, tutti in cooperazione colposa tra loro rispetto alla verificazione dell'evento lesivo, e confermava l'assoluzione del drettore della produzione. Nel proporre ricorso per Cassazione, gli imputati articolavano variamente i motivi di impugnazione:
o l'amministratore delegato adducendo di avere conferito delega di responsabilità al direttore di stabilimento;
o tutti evidenziando l'avvenuta interruzione del nesso causale, essendo avvenuto l'infortunio per comportamento anomalo e imprevedibile della vittima;
o i due preposti (caporeparto e capoturno) in relazione all'inidoneità, sul piano causale, della loro condotta rispetto all'evento mortale, con riferimento al breve lasso temporale di esercizio delle rispettive mansioni.
La Suprema Corte ha ritenuto prive di fondamento tutte le doglianze di merito in punto di responsabilità soggettiva di ciascuno dei ricorrenti. In primis in base al rilievo, rigidamente ancorato a dati ed elementi fattuali emersi nel corso dei processi di merito, che le modalità di svolgimento del lavoro corrispondevano ad una prassi consolidata nello stabilimento, ove la pulizia dei rulli di traino veniva solitamente effettuata non a macchina ferma, come era invece specificamente raccomandato dalla casa costruttrice. A ciò si è aggiunta l'ulteriore circostanza relativa alla mancata conoscenza, da parte dell'operatore, dell'esistenza di un pulsante, sulla macchina, destinato ad assicurare la pulizia dei rulli in sicurezza. In terzo luogo, il processo di merito aveva messo in evidenza una modifica strutturale operata sulla macchina, e non comunicata al costruttore (l’innalzamento, per esigenze legate alla produzione, del rullo cromato di circa 10 cm, così da aumentare da 15 a 22 cm la distanza di questo dal rullo gommato, ove era poi finita la testa risucchiata dell'infortunato).
In siffatto contesto e quadro di analisi, la Cassazione ha svolto le seguenti valutazioni:
- l'inefficacia della delega di responsabilità, in base alla considerazione che la condotta dell'amministratore delegato, corrispondente ad una posizione di garanzia della sicurezza del luogo di lavoro e dell'incolumità fisica d ogni lavoratore, non aveva efficacia scriminante in relazione alla modifica strutturale operata sulla macchina (concausa della morte del lavoratore), della quale l'imputato necessariamente - a giudizio della Corte - doveva essere a conoscenza, trattandosi di variazione direttamente incidente sul processo di lavorazione;
- la non incidenza, sul rapporto di causalità, della condotta imprudente dell'infortunato, essendo risultato provato oltre ogni ragionevole dubbio che l'aumentata distanza tra i rulli rendeva il pericolo di risucchio e di trascinamento dell'operatore un fatto assolutamente prevedibile e non anomalo, né esorbitante dal tipo di lavoro da espletare;
- l'irrilevanza dell'epoca di assunzione della qualifica da parte del capo reparto e del capoturno, essendo emerso che essi, al pari degli altri coimputati, avevano consentito al lavoratore, in loro presenza, di procedere alla pulizia della macchina con i rulli in movimento, e non a sicura distanza.
La sentenza in commento si presta alla preliminare notazione che i destinatari degli obblighi di sicurezza sono stati individuati "iure proprio", in base alla formula cosiddetta di scalettamento degli obblighi, usualmente espressa dal legislatore con la locuzione «...nell'ambito delle rispettive attribuzioni e competenze...» (da ultimo contenuta nell'art. 1, comma 4-bis del D.Lgs. n. 626/1994), significante che le quote di responsabilità soggettiva sono distinte e connesse all'assolvimento dei correlativi obblighi, i quali a loro volta traggono legittimazione dal complesso dei poteri (espresso con l'endiade: «attribuzioni e competenze») facenti capo a ciascuna categoria di soggetti. In questo ambito la legislazione prevenzionistica di regola equipara le figure del datore di lavoro e dei dirigenti (sebbene l'equiparazione delle posizioni non equivale a loro "confusione", giacché «i dirigenti... non si sostituiscono, di regola, alle mansioni dell'imprenditore, del quale condividono, secondo le loro reali incombenze, oneri e responsabilità in materia di sicurezza del lavoro» così Cass. Pen., sez. IV; 29 marzo 1989, Fadda), ponendo invece quella del preposto su un più basso livello di responsabilità, non ricadendo su di lui il dovere di adozione delle misure di prevenzione e di protezione, bensì il solo dovere di vigilanza affinché dette misure, ove predisposte e adottate da parte del datore di lavoro e dei dirigenti, ricevano concreta attuazione nel modo più corrispondente alle disposizioni impartite dai vertici aziendali (cosiddetta vigilanza oggettiva sul luogo di lavoro), e specifica osservanza da parte dei lavoratori (cosiddetta vigilanza soggettiva sul luogo di lavoro). Trattasi, come è noto, di un regime "dì responsabilità tendenzialmente alternativo che, con una formula sintetica ed efficace, viene correntemente definito del "doppio binario" della sicurezza.
Altro elemento rilevante per la decisione è stata la carenza di informazione fornita al lavoratore: il che costituisce uno dei momenti più significativi di accertamento, in punto di fatto, nei processi infortunistici. Invero l'informazione e la formazione professionale costituiscono da sempre uno dei pilastri di base su cui poggia la piattaforma della cosiddetta "cultura della prevenzione": ingredienti imprescindibili se si voglia implementare un sistema di gestione della sicurezza sostanzialmente efficace in quanto realmente condiviso, piuttosto che burocraticamente adottato sulla carta.
La terza indicazione proveniente dai Giudici di legittimità è, ancora una volta, che, in tema di tutela delle condizioni di lavoro, «la colpa prevenzionale va commisurata con il criterio del consenso: all'inerzia rispetto al dovere di attivazione imposto dalla legge, deve affiancarsi non la conoscenza effettiva, bensì la mera conoscibilità, intesa quale potere-dovere di conoscere una situazione di cui si ha l'obbligo della conoscenza. A fronte di un dovere di conoscenza, l'ignoranza colpevole non è in alcun modo discriminata dalla legge e, in presenza di una condotta omissiva, tenuta di fronte ad una situazione conoscibile ed in contrasto con prescrizioni legislative, il consenso alla protrazione di tale situazione si deduce per conseguenza logica inevitabile» (in tal senso, tra le altre, Cass. Pen., sez. /Il, 14 febbraio, Fichera).
Estratto dalla “Rassegna di giurisprudenza” a cura di Pierguido Soprani, avvocato, Ambiente & Sicurezza – Il Sole 24 ORE del 13/07/2004 – n.13.